Palermo

Morte di un ragazzo

La storia di Abou Dakite, partito dalla Costa d'Avorio nel 2017 e morto il 5 ottobre in un ospedale a Palermo. Le torture, la prigionia in Libia e poi il decesso forse per una setticemia, dopo essere stato per 10 giorni sulla nave quarantena Allegra, dove per 600 migranti c’era soltanto un medico

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Questa è la storia di un ragazzo morto senza un perché. O forse quella di un sistema che non funziona e di diritti calpestati. È la storia di Abou Dakite partito nel 2017 dalla Costa d'Avorio e deceduto a 15 anni, il 5 ottobre scorso, in un letto di un ospedale di Palermo. Potrebbe aver perso la vita per una setticemia, dopo essere stato per 10 giorni sulla nave quarantena Allegra, dove per 600 migranti c'era soltanto un medico. Ma è anche la storia di una donna tenace che vuole sapere, costi quel che costi, perché un adolescente ha finito i suoi giorni così.
 

Il viaggio

Il racconto della vita di Abou è un racconto parziale, con ancora tante ombre. Sarebbe partito nel 2017 da Daloa, città di 215mila abitanti della Costa d'Avorio, insieme a un gruppo di amici. Faceva il sarto e sognava un futuro in Italia. Ha attraversato il Mali per poi spostarsi in Algeria, lì si trovavano già, arrivati nei mesi precedenti, altri connazionali che conosceva. Poi verso la Libia, dove sarebbe finito in una mezra, uno dei tanti campi nei quali vengono concentrati i migranti che spesso subiscono torture e soprusi. Un uomo che sostiene di essere un amico del ragazzo, raggiunto telefonicamente, racconta che Abou abbia subìto violenze e che probabilmente qualcuno ne ha abusato. Sul corpo del giovane migrante c'erano dei segni sugli arti che soltanto l'autopsia potrà dire se siano compatibili con le torture o meno. Un giorno di settembre Abou riesce a mettersi l'inferno libico alle spalle salendo su un gommone zeppo di altri disperati. Davanti a sé ha il Mediterraneo.


Il salvataggio

Il 10 settembre l'imbarcazione su cui viaggiava Abou viene soccorsa dalla nave Open Arms. I volontari della ong spagnola incrociano il gommone e mettono tutti in salvo, ospitandoli a bordo. La prassi prevede un controllo sanitario per ogni migrante.

"Secondo il medico di Emergency presente a bordo - si legge in una nota congiunta della ong italiana e di Open Arms - al momento del salvataggio, Abou non riportava sintomi particolari, se non una forte denutrizione, comune alla maggior parte delle persone che erano sulla sua barca". Testimoni ricordano che con Abou c'era un amico che non lo abbandonava mai, spesso gli teneva la mano.
Le condizioni del ragazzo peggiorano una settimana dopo. Il 17 settembre, intorno alle 21, "ha iniziato ad avere la febbre e un forte dolore lombare - annota il medico di Emergency - è stato subito condotto nell'ambulatorio della nave, dove è stato sottoposto al test per il Covid-19 che è risultato negativo". Lo reidratano e gli somministrano paracetamolo e antibiotico, ipotizzando una possibile infezione alle vie urinarie. Le cicatrici sugli arti di Abou non passano inosservate. Ma l'amico che era con lui racconta che sono ferite vecchie, relative all'infanzia. Una versione che sembra credibile per lo staff della nave.

Caso Abou, le immagini del salvataggio della barca in cui viaggiava il ragazzo

Il 18 le condizioni di salute del ragazzo sembrano migliorate. Alle 9,30 il medico visita nuovamente Abou che ha un po' di febbre. "Gli ha somministrato ancora un antibiotico e un trattamento reidratante - appuntano i volontari delle ong - ha eseguito un'ecografia addominale che non ha rilevato nessun problema evidente e l'ha sottoposto a un secondo test per il Covid-19, che è risultato ancora negativo". Sono giorni difficili a bordo della Open Arms. La tensione è altissima: alcuni migranti si lanciano in mare, stanchi di uno stallo che si protrae per giorni e giorni. Finalmente qualcuno dà indicazioni alla nave spagnola: "Trasbordo sulla nave quarantena".

Palermo, 77 migranti della Open Arms si lanciano in mare

Qualche ora dopo, alle 14, i migranti vengono trasferiti sulla nave Allegra disposta dal ministero dell'Interno per la quarantena. A bordo sono 600, rispetto ai 400 previsti dal bando del Viminale. Abou passa da un'imbarcazione all'altra con una flebo al braccio, cammina con le sue gambe, parla, secondo Open Arms.


La quarantena

All'interno della Allegra lavora il personale della Croce Rossa. Secondo l'organizzazione Abou viene preso subito in carico dal medico e dagli infermieri. Ha sintomi influenzali e, in alcuni fragenti, mal di denti. Assicurano di averlo curato e idratato. Un giorno ha chiesto pure del latte. Le visite, fanno sapere dall'organizzazione, sono quotidiane. Dieci giorni dopo l'arrivo sulla Allegra, i compagni di stanza di Abou chiamano il medico, sono preoccupati per le condizioni di salute del ragazzo.
"Vengo chiamato dai compagni di stanza del paziente visibilmente allarmati dalle sue condizioni - scrive il dottore nel referto - Mi riferiscono che non parla e non si nutre da circa 3 giorni. Il paziente è apiretico (senza febbre, n.d.r.), appare disorientato, poco collaborante". Nel documento, il medico segna "numerose cicatrici verosimilmente conseguenti a torture subite in carcere in Libia", dolore nella zona lombare bilaterale, problemi a reni e la difficoltà a inserire l'ago della flebo perché "non collaborante". Il dottore invita i compagni a controllare se Abou mangia e beve.
Dal referto del medico sembra esserci un buco. Se le visite sono state giornaliere, sembra però che, almeno nei due giorni precedenti al 28 settembre, nessuno ha visto Abou. "Prima di quel giorno è stato visitato", assicura al telefono il medico che ha firmato l'ultimo referto. E poi aggiunge un altro dettaglio, non da poco: "Ero solo con seicento migranti, con il solo aiuto di mani e occhi".  Da quanto si apprende dalla Croce Rossa, nel periodo di quarantena di Abou si sono alternati tre medici. Entrava uno e ne scendeva un altro. Insieme a loro c'era uno staff di infermieri, mediatori, psicologi e altri operatori.

Il 29 settembre le condizioni del ragazzo precipitano. "I compagni riferiscono che si rifiuta di bere arrivando a sputare l'acqua che gli viene offerta - si legge sul referto - Rifiuta terapia di qualsiasi tipo". E soprattutto: "Non disponendo di nessun tipo di attrezzatura diagnostica o presidio terapeutico idoneo, il paziente necessita urgentemente di ricovero in una struttura adeguata per studio approfondito di apparato urinario e reintegro alimentare per stato di grave malnutrizione e denutrizione volontaria". Per questi motivi chiede lo sbarco urgente del ragazzo.


I referti mancanti

Alle 00.00 del 30 settembre Abou arriva all'ospedale Cervello di Palermo. La sera lo incontrano uno psicologo e un mediatore del centro Penc. "Ci contattano perché il ragazzo non parlava: era in uno stato di torpore. Apriva e chiudeva gli occhi, ma non sembrava lucido", racconta lo psicologo Filippo Casadei. Abou aveva mangiato frutta cotta, faceva qualche movimento con le mani e emetteva lamenti. Lo rivedono il giorno dopo, il primo ottobre. "Era sveglio, sembrava più presente, anche se aveva la febbre - continua lo psicologo - Comunicava soltanto con gli occhi, almeno fin quando ha preso la tachipirina, ha sudato e si è addormentato". Quello che hanno davanti è un ragazzo magro e provato, ma "seguito e che non dava l'impressione di correre un pericolo imminente".

Caso Abou, la tutrice: "In ospedale era pelle e ossa"

Intanto, sempre il primo ottobre, il tribunale dei minori conferisce l'incarico di tutrice di Abou ad Alessandra Puccio. Una donna combattiva con una lunga esperienza alle spalle. "Mi chiamano dall'ospedale il giorno seguente e mi dicono che hanno bisogno dell'autorizzazione per intubarlo - racconta la donna - Ovviamente ci vado e firmo. Abou è pelle e ossa". La tutrice chiede ai medici la cartella clinica e nota che all'interno c'è soltanto un referto: "E' quello del 28 settembre. Non ci sono altri documenti che provino visite effettuate nei giorni precedenti". A questo punto Puccio riesce a contattare il medico della Croce Rossa: "Mi ha detto che il dottore che l'ha preceduto aveva firmato un altro referto. Ma l'aveva scritto a penna e non c'era niente di interessante, per questo non è stato spedito all'ospedale".

Il 2 ottobre Abou entra in coma. Al Cervello non c'è posto in rianimazione, sono tutti occupati da pazienti Covid, e viene trasferito all'Ingrassia. I medici nei giorni successivi parlano di condizioni stabili ma gravi. Il 5 la tutrice riceve una telefonata dall'ospedale: "Abou è morto".

Caso Abou, l'avvocato: "Un medico per 600 persone e nessun tutore per i minori"

La tutrice ha nominato l'avvocato Michele Calantropo e ha presentato una denuncia. "Vogliamo sapere cosa sia successo, attendiamo l'esito dell'autopsia per capire se ci siano state delle responsabilità nel decesso del ragazzo", dice il legale. Secondo indiscrezioni, il medico che ha effettuato l'ispezione cadaverica ha verificato una setticemia: un'infezione che può provocare uno shock, uno stato confusionale come quello in cui versava da giorni Abou. "Quello che sta emergendo al momento è che su una nave di 600 migranti c'erano un medico e 4 infermieri - continua Calantropo - Se questa è una nave quarantena ha quanto meno bisogno degli aggiustamenti opportuni".


Minori senza diritti

Alessandra Puccio viene nominata tutrice soltanto il primo ottobre, quando in ospedale si rendono conto che nessuno può prendere decisioni per Abou. "Siamo davanti a una violazione della legge Zampa che prevede la nomina del tutore quando un minore arriva sul suolo italiano. E non c'è dubbio che una nave del ministero dell'Interno lo sia", accusa Calantropo.

Un gruppo di associazioni, nei giorni scorsi, ha presentato due esposti, uno alla procura di Palermo e uno in quella di Catania, sullo stato dei minori a bordo delle tre navi quarantena del ministero dell'Interno. "Risultano essere collocati in promiscuità di genere e con gli adulti, in una condizione di sovraffollamento e nell'impossibilità - scrivono le legali Germana Graceffo e Paola Ottaviano - tenuto conto anche dell'elevato numero di persone ristrette all'interno di ciascuna nave, di ricevere adeguata assistenza sanitaria, psicologica e legale, in violazione delle norme sull'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati". Per le associazioni, da Borderline Sicilia a l'osservatorio "Nourredine Adnane", passando per il CISS, la misure prese all'interno delle navi comportano "un protrarsi della condizione traumatica da questi vissuta nel corso del viaggio intrapreso dal proprio Paese di origine fino all'Italia". Anche il garante per i minori del Comune di Palermo ha chiesto che vengano rispettati i diritti dei ragazzi non accompagnati che sono a bordo.


L'inchiesta della tutrice

Dopo la morte di Abou, un gruppo di associazioni palermitane si è dato da fare per trovare la famiglia del ragazzo e comunicargli la sua morte. Hanno aperto canali con i centri libici, tramite il passa parola dei migranti. Ma nulla. La tutrice Puccio, però, non si è arresa: "La Croce Rossa mi ha dato il numero di quello che ritenevano il fratello. Ma era soltanto un amico che, per fortuna, ci ha dato quello del vero parente".

Caso Abou, trovato il fratello in Costa D'Avorio: "Era partito a 13 anni. Faceva il sarto"

Il fratello aveva già saputo del decesso di Abou, piange al telefono quando, tramite un mediatore, la tutrice lo contatta: "E' partito nel 2017 con un gruppo di amici. Io non vivevo nello stesso paese quando lui è andato via. Sognava di vivere in Italia e di fare il sarto". Non aveva parenti da raggiungere in Europa, né genitori da cui tornare in Costa d'Avorio: "Papà e mamma sono morti, eravamo rimasti soltanto io e lui. Adesso sono solo", piange il fratello maggiore. La tutrice trattiene le lacrime e poi sospira: "Abou merita giustizia".